di Jacopo Ibello
immagine di copertina Ricardo Bofill Taller de Arquitectura
Quanti di voi hanno mai collegato la capitale catalana al turismo industriale? A parte i pochi appassionati (tra cui l’autore) scommetto non in tanti. Eppure, quando visitate le attrazioni più conosciute di questa vibrante metropoli lo state indirettamente facendo: le affascinanti architetture moderniste di Barcellona, amate da milioni di persone, sono figlie dello straordinario progresso industriale che rese la città non solo la più avanzata e ricca della Spagna, ma anche una delle capitali del Mediterraneo. Nomi come Batlló e Güell ricordano ai più luoghi dall’architettura quasi divertente, spensierata, che hanno plasmato l’identità di Barcellona, ma sono anche i nomi di dinastie industriali che hanno messo la loro ricchezza a disposizione di una generazione straordinaria di architetti, capitanata da Antoni Gaudí, dando loro il compito di rendere la loro città un posto unico al mondo.
In un’incisione che riprende la città nel 1856 vediamo un paesaggio carico di ciminiere sbuffanti. Un panorama abituale nella Gran Bretagna dove la Rivoluzione Industriale era già a pieno ritmo, ma sulle sponde del Mediterraneo doveva essere una vista quantomeno inusuale. La Catalogna di quel tempo era una regione già pienamente industrializzata, con le valli dei fiumi Besos e Llobregat costellate di fabbriche tessili e villaggi operai, mentre piccoli paesi come Sabadell, Terrassa, Manresa si trasformavano rapidamente in città. Barcellona divenne il traino verso il progresso di una Spagna caduta in letargo dopo i secoli in cui aveva dominato i mari e le terre del Nuovo Mondo. Migliaia e migliaia di persone vi si trasferivano dalle campagne e dal resto del Paese per lavorare nei cotonifici e nelle industrie meccaniche.
La città reagì a questo movimento ordinando il caos: il piano di Ildefons Cerdà per l’ampliamento (Eixample) di Barcellona costituì una solida base per le espansioni future che l’avrebbero portata a superare il milione di abitanti. Oggi è una lunghissima area metropolitana che si estende lungo la costa, dove i cacciatori di tesori industriali trovano pane per i loro denti come in poche altre parti del mondo. In un vero e proprio coast to coast dal Llobregat al Besòs esploriamo il patrimonio industriale di Barcellona tra luoghi più noti e chicche nascoste.
Partiamo da una delle realizzazioni più famose del duo Güell-Gaudí: la collaborazione tra l’imprenditore illuminato e l’estroso architetto ha consegnato veri e propri patrimoni dell’umanità, non solo nel centro della città. Eusebi Güell fu uno dei personaggi chiave dello sviluppo industriale catalano: figlio di un mercante di schiavi e di una nobile genovese, prese in mano la società di famiglia che gestiva un grande cotonificio a Sants, noto come il Vapor Vell (lo incontreremo nella nostra “lunga passeggiata”), e realizzò un nuovo stabilimento con annessa colonia operaia lontano dalla città. Per il progetto incaricò una squadra di architetti guidata da Antoni Gaudí, massimo esponente del modernismo catalano: all’epoca (1890) il trentottenne Gaudí viveva in pieno il suo primo periodo di successo, lavorava già da sei anni alla Sagrada Familia ma non aveva ancora trovato quello stile che lo avrebbe fatto assurgere tra i grandi della storia dell’architettura. Nello stesso periodo in cui aveva ottenuto l’incarico della grande chiesa era stato presentato a Eusebi Güell, con cui nacque immediatamente una profonda intesa umana, culturale e professionale.
L’idea della colonia nacque perché il clima in città era particolarmente “caldo”: agitazioni, scioperi e scontri erano la quotidianità nella Barcellona di fine Ottocento. Orari massacranti, ambienti infernali, degrado urbano, igiene precaria non facevano altro che alimentare lo scontro tra borghesia imprenditoriale e proletariato operaio. Le grandi fabbriche verticali di concezione inglese mostravano ormai tutti i loro limiti sia in termini di produttività che di ambiente di lavoro. Güell intendeva perciò dotarsi di uno stabilimento moderno, lontano dal centro anche per allontanare i suoi operai dai tumulti urbani e creare un luogo che li riconciliasse con le loro origini rurali. Scelse un’area nei pressi di Santa Coloma de Cervelló, lungo il Llobregat, e affidò a Gaudí il progetto generale: questi chiamò a sé alcuni dei più validi colleghi a cui affidare i singoli edifici della colonia, tra cui Francesc Berenguer che, pur non avendo il titolo di architetto, fu scelto come collaboratore dal genio di Tarragona grazie al suo indiscutibile talento. Gaudí tenne per sé la chiesa (nota oggi come Cripta della Colonia Güell), inaugurata nel 1915 e destinata a diventare uno dei suoi massimi capolavori, tanto da essere inclusa nel Patrimonio dell’Umanità assieme alle sue più grandi creazioni.
Grazie alla fama di Gaudí oggi la Colonia Güell è un’apprezzata meta turistica, ma ha conservato pressoché intatta quell’atmosfera da “fuori dal mondo” che ritroviamo spesso nei villaggi operai del primo Novecento, dove il progresso industriale provava a dialogare con la ruralità più tradizionale: oltre all’arcinota Cripta anche gli edifici e la vecchia, monumentale fabbrica oggi riconvertita si fanno ammirare per il perfetto stato di conservazione esterno.
Nel nostro tour barcellonese proseguiamo verso il centro della metropoli non senza effettuare una visita al museo di Agbar a Cornellá de Llobregat, la società che gestisce l’acqua nella capitale catalana. Un’attrazione irrinunciabile per gli appassionati di vecchi dinosauri di ghisa: macchine a vapore, enormi pompe e caldaie in mattoni sono gelosamente custodite all’interno di questa affascinante costruzione modernista del 1900, accanto alle loro “discendenti” che sparano nella rete circa un quarto dell’acqua potabile consumata a Barcellona. Il Museu Agbar de les Aigües non è solo una collezione di macchinari, ma soprattutto un’esposizione interattiva sul ruolo dell’acqua nello sviluppo urbano, sull’evoluzione del suo trattamento e su come utilizzarla al meglio.
Da Cornellá ci spostiamo nella vicina Sant Just dove svetta un luogo molto particolare, che gli appassionati di architettura certamente conoscono. Il nome, abbastanza banale, è La Fábrica, ma non bisogna farsi trarre in inganno: il riuso di un ex cementificio da parte del famoso architetto Ricardo Bofill come sua residenza e ufficio ha lasciato tanti a bocca aperta. A partire dal fatto che la scelta di collocare qui il suo Taller d’Arquitectura risale addirittura agli anni Settanta del secolo scorso, quando il patrimonio industriale era oggetto di rifiuto, più che di riuso. Nel ristrutturare il cementificio Bofill inserì elementi di neogotico e surrealismo, fino a negare espressamente il leitmotiv dell’architettura moderna, ovvero che la forma debba seguire la funzione: l’obiettivo de La Fábrica è anzi quello di dimostrare che ogni spazio può ospitare più funzioni, indipendentemente dalla sua forma; e che, cosa forse più importante, in architettura non esistono cause perse.
Nel dettaglio, all’interno del cementificio sono stati ricavati gli uffici dello studio, la residenza privata di Bofill (scomparso nel 2022) e un enorme spazio detto La Catedral, dove vengono organizzati concerti, mostre e altre attività legate al mondo dell’architettura. Fuori spicca questa natura che avvolge il cementificio brutalista, altra caratteristica che dimostra la visionarietà di Bofill rispetto alla sua epoca.
Proseguendo verso Barcellona si passa attraverso L’Hospitalet de Llobregat, secondo centro della Catalogna con oltre 260mila abitanti. Sviluppatasi prepotentemente come città dormitorio durante il franchismo, quando migliaia di immigrati da tutta la Spagna si trasferirono in cerca di fortuna nella ricca Catalogna, L’Hospitalet conserva alcune tracce della prima industrializzazione. Degno di nota è il centro per l’arte contemporanea Tecla Sala, sviluppatosi in una grande filatura di cotone che rappresenta uno dei pochi casi di imprenditoria femminile della Rivoluzione Industriale: Tecla Sala, già ereditiera di un cotonificio nell’interno della Catalogna, rilevò un mulino qui nel 1913 e vi realizzò il grande stabilimento che vediamo ancora oggi, il quale contribuì in maniera determinante a trasformare L’Hospitalet da villaggio agricolo a centro industriale. Sala si distinse per l’attenzione verso i suoi operai, realizzando servizi all’avanguardia per l’epoca come una scuola con biblioteca per alfabetizzarli. Il suo nome continua a vivere nel centro d’arte dedicato a lei, situato nella sua fabbrica perfettamente restaurata dove si trova anche la biblioteca municipale.
Entriamo nel territorio di Barcellona alla ricerca delle origini della città industriale: un viaggio nel tempo all’indietro dagli opifici manchesteriani di Sants e dell’Eixample alle case-fabbrica del Raval, fino all’arsenale medievale, partendo dall’apice della gloria industriale raggiunto nella prima metà del Novecento, rappresentato dall’Esposizione Internazionale del 1929: un anno cruciale, che segnò l’apice del rilancio dopo la Grande Guerra e l’inizio di una crisi gravissima che avrebbe segnato il destino di tutto il mondo, anche di questa città. L’ascesa dei fascismi degli anni Trenta avrebbe visto nella Spagna un primo luogo di scontro tra sistemi antitetici, che avrebbero poi lottato fino all’ultimo sangue nel Secondo Conflitto Mondiale.
Ma nel 1929 tutto questo sembrava lontano e il mondo occidentale celebrava, forse un po’ illusoriamente, il progresso, la tecnologia, l’arte e la pace fra le nazioni. Il Recinto dell’Esposizione, dove oggi si trova una delle due fiere di Barcellona, testimonia attraverso gli edifici sopravvissuti quel sentimento: il Palazzo della Metallurgia, dell’Elettricità e della Forza Motrice, il Palazzo delle Telecomunicazioni, il Palazzo del Lavoro, ma soprattutto il Padiglione Tedesco di Ludwig Mies van der Rohe. Quello che vediamo oggi è la ricostruzione dell’originale, il cui obiettivo era trasmettere l’immagine della “nuova” Germania di Weimar: democratica, aperta, prospera e pacifista. L’edificio è un manifesto della cultura architettonica Bauhaus che proprio in quegli anni stava riscrivendo il modo di costruire e, allo stesso tempo, del ruolo internazionale che la città si era conquistata con la sua prepotente industrializzazione.
Figlie dell’Expo e della visione che incarnava sono anche le opere progettate dall’architetto e ingegnere Carles Buïgas, specializzato in illuminazioni spettacolari e fontane: la coloratissima Fontana Magica, che ancora oggi illumina le notti del Recinto, e la teleferica che collega il Montjuic al porto, offrendo una vista impagabile su quest’ultimo e il centro della città. Buïgas progettò anche le due torri Jaume I e Sant Sebastiá che fungono da stazioni e piattaforme panoramiche: la prima, alta oltre 100 metri, fu fino al 1966 la torre da teleferica più alta del mondo.
Proprio accanto al Recinto brilla una delle stelle del modernismo catalano: la Fabbrica Casaramona, uno degli esempi più belli di incontro tra arte e industria, dove funzione e bellezza non smettono mai di parlarsi. Elementi “semplici” come i serbatoi pensili diventano torri merlate, i capannoni sono costellati di decorazioni e mosaici. Un destino forse segnato per la fabbrica di coperte e asciugamani, che chiuse dopo pochi anni di attività e iniziò una nuova vita nel 2002 come il CaixaForum Barcelona, centro culturale che ospita la collezione di arte contemporanea della Fondazione La Caixa.
Dai piedi del Montjuic ci spostiamo a Sants, dove incontriamo alcune tra le più monumentali fabbriche della città: innanzitutto il Vapor Vell, il cotonificio in stile inglese del 1844 che abbiamo citato a proposito della Colonia Güell. Il modello verticale di produzione e la presenza di queste grandi fabbriche nel tessuto urbano entrarono in crisi per problemi di efficienza, igiene e ordine pubblico: agguati e omicidi all’indirizzo di proprietari e dirigenti segnavano un’atmosfera pesante non solo a causa dei fumi delle macchine a vapore. Eusebi Güell decise di porre fine al Vapor Vell, fondato da suo padre, già nel 1890; circa un secolo dopo il comune decise la demolizione di gran parte degli edifici eccezion fatta per la ciminiera e il corpo principale, rappresentativo di quell’epoca pionieristica, che accoglie oggi la biblioteca di quartiere.
Un passaggio dal modello industriale verticale a quello orizzontale visibile a poca distanza seguendo le orme di un’altra dinastia che ha lasciato il segno nella città: i Batlló. Nel 1870 inaugurarono un gigantesco cotonificio nella zona dell’Eixample (l’ampliamento ideato da Cerdá dagli inconfondibili isolati ottagonali) con oltre 2.500 operai dall’architettura decisamente monumentale, nonostante una situazione economica sfavorevole che portò a continui scioperi, disordini e violenze che indussero la famiglia a chiudere questo gigante dopo soli 19 anni. Nonostante le turbolenze l’impresa riuscì a ottenere diversi riconoscimenti per i suoi tessuti in svariate esposizioni internazionali.
La storia del complesso non finì qui: la Catalogna soffriva di una cronica mancanza di tecnici specializzati per l’industria e diverse istituzioni pubbliche e private decisero all’alba del Novecento la fondazione di una Scuola Industriale, ovvero un complesso formato da università di ingegneria, corsi professionali, officine e laboratori, volto a formare una nuova generazione di operai, tecnici, dirigenti e imprenditori al servizio della produzione. Come sito si scelse non di costruirne uno nuovo, ma di riutilizzare la vecchia fabbrica Batlló integrandola con nuovi edifici. Ancora oggi parte di essi ospita questa istituzione insieme ad altri uffici e servizi comunali.
Durante il periodo tessile un membro della famiglia, Joan Batlló, uscì dalla gestione della fabbrica per crearne una sua, ancora più grande, ai confini di Sants, in una zona detta La Bordeta. Nel 1878 inaugurò uno stabilimento che entrò subito in concorrenza con la Can Batlló dell’Eixample, rispetto alla quale impiegava meno operai ma aveva un andamento più stabile, con ripercussioni positive anche nelle relazioni coi dipendenti. Nel 1943 un imprenditore molto discusso, Julio Muñoz Ramunet, arricchitosi col mercato nero durante la Guerra Civile, rilevò la fabbrica trasformandola in un parco impresariale, con piccole, medie e grandi imprese: una concezione molto avanti per l’epoca, anche perché il complesso era dotato di un bar che fungeva da forum di discussione e centro per gli affari.
Attualmente l’area è in trasformazione dopo il trasferimento delle imprese nella Zona Franca, un processo lento a causa di contenziosi tra il comune e il gruppo immobiliare proprietario dell’immensa area; allo stesso tempo, Can Batlló, è diventata famosa per i casi di occupazione e autogestione degli spazi da parte di comitati, associazioni e cooperative di quartiere. L’area è totalmente accessibile ed è possibile vedere da vicino gli imponenti capannoni ottocenteschi.
Trasferiamoci al Raval, quartiere della Città Vecchia medievale dove ritroviamo le origini della Barcellona industriale e comprendiamo le ragioni del piano di Cerdá: questo piccolo lembo composto da vecchie case e viuzze strette dove il sole fatica a sbucare è ancora oggi il più densamente popolato della città. Ci vivono infatti 50mila persone ed è rimasto un quartiere popolare come quando, nei primi dell’Ottocento, la vita tra questi vicoli era scandita dalle “Case Fabbrica”. Una vita fatta di rumore, sporcizia, promiscuità: la Barcellona dell’epoca scoppiava sotto i colpi del progresso industriale e aveva bisogno di ordine e spazio. Ildefons Cerdá mise ordine al caos “inventando” una nuova città pianificata, più ordinata, pulita e controllabile.
Oggi passeggiando nel Raval non è difficile ritrovare le tracce di quell’epoca, dalle moderne architetture affiancate da antiche ciminiere alle Case Fabbrica di cui restano numerose testimonianze. Palazzi costruiti tra il Settecento e l’Ottocento, dove case, officine, laboratori e le prime industrie tessili condividevano lo stesso tetto. Luoghi in cui la vita domestica e il lavoro più pesante non conoscevano separazione, segnando l’identità del Raval come un quartiere povero e pericoloso, dove all’ombra di queste prime, rudimentali e promiscue fabbriche trovavano spazio i dimenticati, gli emarginati e i criminali. Una vita dura che ha caratterizzato queste strade anche per tutto il secolo scorso, quando fusi e telai si erano già spostati altrove e che, in parte, ancora oggi continua. Una parte difficile della storia di questa città che però non vuole essere dimenticata e, negli ultimi anni, le autorità hanno deciso la protezione delle Case Fabbrica sopravvissute.
All’esterno del Raval, direttamente sul porto, entriamo in quella che possiamo definire la più antica fabbrica di Barcellona: l’Arsenale. Le Drassanes Reials nacquero nel XIII secolo per volere del re Pietro III d’Aragona, noto anche come Pietro il Grande, per costruire le fortissime galee che dominarono il Mediterraneo nell’ultima parte del Medioevo e permisero le grandi conquiste catalane, da Maiorca a Valencia fino alla Sicilia e al Regno di Napoli. Sempre qui fu costruita la Galea Reale che fu l’ammiraglia della flotta cristiana durante la Battaglia di Lepanto nel 1571, di cui possiamo ammirare una pregevole ricostruzione sotto le volte gotiche dell’imponente Arsenale. Dal 1941 questo antico e glorioso cantiere è la sede del Museo Marittimo di Barcellona, che racconta la storia della costruzione navale dal Medioevo all’epoca industriale.
Epoca industriale che ha in un mezzo di trasporto il suo segno distintivo: il treno. L’arrivo della ferrovia fu dirompente, il treno spaccava campagne e paesaggi, entrando in città come un nuovo dio della velocità in delle vere e proprie cattedrali: le stazioni. Nel 1848 entrò in servizio la linea Barcellona-Mataró, prima ferrovia della penisola iberica; sei anni dopo si inaugurò la connessione con Granollers, il cui capolinea si trovava dove oggi c’è la maestosa Stazione di Francia: il nome le venne dato nel 1878, quando la ferrovia raggiunse Portbou, villaggio posto alla frontiera con la Francia, appunto. La stazione divenne quindi internazionale, conservando però le piccole dimensioni originarie. Solo nel 1929 venne realizzato l’imponente edificio attuale, in occasione della già citata Esposizione Internazionale, dove gli elementi della (allora) modernità tecnologica come l’acciaio e il vetro incontrano un’architettura più classica ed elegante, forse in contrasto col resto della Barcellona d’inizio secolo.
Se vogliamo ricercare l’incontro tra il modernismo e il treno dobbiamo spostarci nella vicina Stazione Nord. Oggi il principale terminal di autobus di Barcellona, questo edificio del 1915 è stato fino agli anni ‘70 l’inizio della linea per Saragozza: l’architettura in questo caso riflette lo stile in voga nella capitale catalana al tempo e porta la firma di Demetri Ribes, specialista di stazioni ferroviarie e noto soprattutto per quella, bellissima, di Valencia. Il trasferimento dei binari nel sottosuolo comportò la trasformazione dell’intera area ferroviaria, dove oggi troviamo un parco e, all’interno dell’ex stazione, un centro polisportivo municipale.
Corriamo adesso lungo l’Avinguda Meridiana verso la valle del Besòs, fermandoci ad ammirare un altro lascito dell’epopea industriale: il complesso Fabra i Coats, gigantesco cotonificio che svetta tra le case di Sant Andreu. Una fabbrica nata nel 1839 e cresciuta costantemente grazie alla famiglia Fabra, una dinastia di imprenditori, politici e mecenati tra i più forti e influenti della Catalogna, fusasi nel 1915 col gruppo scozzese J&P Coats. Dopo la chiusura definitiva nel 2005, gli operai misero insieme documenti e testimonianze per salvaguardare la memoria della fabbrica, creando il nucleo di quello che presto diventerà il Centro di Interpretazione del Lavoro del Museo di Storia di Barcellona. Nell’edificio Can Fontanet, vecchia stalla della fabbrica, si trova invece il Centro di Interpretazione del Tre Tombs, festa popolare tipica della Catalogna che si celebra il giorno di S. Antonio Abate e vede protagonisti carri trainati da cavalli e asini. Nell’edificio principale di Fabra i Coats si trova invece un centro per l’arte contemporanea.
Una vera e propria chicca per appassionati di tecnologia si trova invece risalendo brevemente il Besòs fino a Montcada i Reixac, dove troviamo la Casa delle Acque, una stazione per l’estrazione e il pompaggio dell’acqua potabile datata 1878: al suo interno sono conservate due rarissime macchine a vapore verticali, una tipologia già difficile da trovare all’epoca di cui gli esemplari sopravvissuti si contano sulle dita d’una mano.
Concludiamo la nostra visita a Barcellona alla foce del Besòs, a Sant Adrià. Qui svettano i resti di uno dei simboli dell’archeologia industriale catalana. Una struttura non particolarmente vecchia, ma la cui architettura particolare l’ha resa un elemento imprescindibile del paesaggio locale. È la centrale termoelettrica soprannominata Les Tres Xemeneies (Le Tre Ciminiere), proprio per l’aspetto originale dei tre edifici che accoglievano le caldaie a carbone e i relativi camini, alti 200 m. Dopo la dismissione dell’impianto si è deciso comunque di conservarli insieme all’edificio delle turbine poiché erano diventati un elemento identitario per la piccola cittadina alle porte di Barcellona. Ed è forse il luogo ideale per chiudere un’esplorazione del patrimonio industriale di questa metropoli, dove i luoghi del lavoro sono stati e sono ancora oggi protagonisti di primo piano dello sviluppo artistico, culturale e sociale che rendono Barcellona una delle città più ammirate al mondo. Quello che trovate in questo articolo è solo una parte del ricchissimo patrimonio industriale che la Catalogna e la sua capitale custodiscono: vi invitiamo a consultare la mappa di Save Industrial Heritage così come i siti del MNACTEC e della XATIC per scoprire luoghi, eventi e visite in fabbriche di ieri, oggi e domani.