testo di Mattia Zanotti
foto di Jacopo Ibello

Non era mia intenzione parlare di Taranto e dell’ex Ilva. È difficile parlarne per i tarantini, immaginatevi per me. In questo spazio virtuale, inoltre, raccontiamo di industria e di letteratura, di visioni e di prospettive narrative. Oggi, invece, l’Ilva di Taranto è doverosamente oggetto di cronaca, soprattutto.
Alla fine, però, mi sono deciso a parlare di Taranto e della letteratura che si è generata intorno al suo enorme polo industriale, uno degli stabilimenti siderurgici più grandi d’Europa. Perché? Perché ho fiducia. In cosa? Nelle storie. Ora c’è più che mai bisogno di riuscire a contestualizzare la situazione di Taranto per poterne immaginare il futuro, un futuro. Ecco che, a volte, sono proprio le storie ad aiutarci a capire meglio dei numeri e delle statistiche il mondo che abitiamo, la realtà in cui siamo immersi o da cui siamo sommersi, come in questo caso.
La prima considerazione da fare, allora, è che il filone narrativo legato alle vicende dell’Ilva di Taranto nasce tardi, a differenza di quanto accaduto con le opere che hanno trovato ospitalità all’interno di altre fabbriche meridionali, come l’Ilva di Bagnoli per esempio. Se infatti lo stabilimento napoletano fu già protagonista delle vicende di Tre operai (1934) di Carlo Bernari per arrivare fino a La dismissione (2002) di Ermanno Rea, è un fatto che solo in anni recenti l’attenzione degli scrittori si sia concentrata sugli impianti siderurgici di Taranto.
È significativo che la maggior parte degli esempi di letteratura industriale relativi alla Puglia sia di recente pubblicazione e appartenga di fatto alla letteratura del dopo-industria, nel momento in cui cioè i processi di sviluppo e i miti della modernizzazione portati dall’industrializzazione appaiono lontani e non più a portata di mano. Nel passaggio narrativo dall’Ilva di Bagnoli a quella di Taranto, infatti, c’è qualcosa in più di un semplice scorrere del tempo. «C’è la denuncia di un fallimento, il constatare che il miraggio di un Sud pieno di ciminiere si è rivelato un’angosciante macchinazione di inquinamento e di morte. Un incubo più che un sogno», come scrive Giuseppe Lupo.L’inferno al posto del paradiso, prendendo in prestito due categorie citate nel titolo di uno dei capitoli del romanzo Malvarosa (2005) di Raffaelo Nigro, antesignano d’eccezione nel circuito d’autori che guarderanno all’impianto siderurgico dell’ex Ilva pugliese. In questo romanzo, una delle prime opere in cui si staglia entro l’orizzonte narrativo il profilo degli altiforni tarantini, l’autore narra le movimentate vicende di Eustachio Petrocelli e della sua terra, Metaponto, durante la «difficile stagione di crescita dalle memorie contadine di Carlo Levi a una esaltante fuga verso la modernità» e il lavoro.
La modernità e il lavoro per la maggior parte delle gente del luogo e di tutto il Meridione sono rappresentati dall’Italsider di Taranto. La stessa industria che ha annientato il vecchio tessuto sociale e geografico, distruggendo legami solidali e svuotando le campagne. Un personaggio femminile rammenta a Eustachio, riferendosi a un tempo passato: «C’erano dei contadini che lavoravano le campagne. Qui c’erano tradizioni feste processioni canti sull’aia… Dove sono finite tutte queste cose…? Arriva l’acciaio e ruba la gente alle terre, distrugge la vostra cultura. Ecco che bell’acquisto! Vi ha ucciso». 

Inferno e paradiso nell’Italsider, dicevamo. 

Il paradiso dell’acciaio e del lavoro, della tecnica e della velocità che appaiono essere gli unici elementi in grado di svegliare gli abitanti della Basilicata e del Sud Italia, addormentati da «un sonno che ci tiene fuori del tempo e del mondo, pietrificati e impediti a fuggire». La fabbrica potrebbe essere una via di fuga dalla disoccupazione e dalla miseria. Potrebbe essere l’unico mezzo per scappare o, meglio, rientrare nel tempo e nel mondo. Ma a quale prezzo? Al prezzo dell’inferno, sembra.Lo raccontano quei romanzi che guardano a Taranto e al suo dissesto ecologico. Le opere di autori come Cosimo Argentina, Mario Desiati, Nicola Lagioia e Cristina Zagaria «narrano il tramonto della fabbrica come tragedia degli individui nutriti dei suoi frutti più nocivi», citando Lupo. La tematica ecologica e ambientale relativa all’industria meridionale compare in maniera più o meno esplicita in altre opere di letteratura industriale e post-industriale relative anche ad altri stabilimenti, ma mai in maniera così decisa. Tra queste opere, il cui filone narrativo più consistente è proprio quello legato alle vicende dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa, spiccano Vicolo dell’acciaio (2010) di Cosimo Argentina e il romanzo-reportage di Cristina Zagaria, Veleno (2013).
Nel romanzo di Argentina, che torna a raccontare la sua città d’origine dopo Il cadetto (1999), Cuore di cuio (2004) e Maschio adulto solitario (2009), si racconta la vita di Mino Palati e dei suoi compari, il cui destino insieme a quello delle famiglie di Via Calabria, il vicolo dell’acciaio, appare segnato: quasi tutte hanno qualcuno che lavora nella grande fabbrica, «quasi tutte sono toccate da un lutto o da una malattia dovuta alla grande fabbrica». In Veleno, invece, viene narrata «la battaglia di una giovane donna nella città ostaggio dell’Ilva», la grande fabbrica che ha costretto e costringe gli operai a scegliere tra salute e salario, lavoro e avvelenamento; mentre la città e gran parte dei suoi abitanti stanno morendo o si stanno ammalando per l’inquinamento.

Inferno e paradiso nell’Italsider, dicevamo. 

Inferno e paradiso che per decenni hanno convissuto in un equilibrio folle, in cui il beneficio per l’economia offerto dall’acciaieria è bastato da solo a controbilanciare il peso dei lavoratori e degli abitanti che si sono ammalati e sono morti avvelenati.
«Eppure, se mai nel passato questo è bastato come balsamo al pensiero negativo, il Mostro tossico dalle tante bocche fumanti ormai non dispensa più in egual misura vantaggi (per la Nazione e per l’Europa) e morte (solamente per i tarantini)», scrive Katia Trani in Sotto il cielo di Taranto mentre s’interroga sulla situazione e sul futuro di Taranto e del suo polo siderurgico.