"Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso"

di Mattia Zanotti

«Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso, non si entra e non si esce facilmente. Chi può descriverlo? Quelli che ci stanno dentro possono darci dei documenti, ma non la loro elaborazione. A meno che non nascano degli operai e impiegati artisti, il che sembra piuttosto raro. Gli artisti che vivono fuori come possono penetrare in un’industria? I pochi che ci lavorano diventano muti per ragioni di tempo, di opportunità ecc… gli altri non ne capiscono niente: possono farvi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta, ma dall’assimilazione».
Così scrisse Ottiero Ottieri in una sua pagina de La linea gotica (1954). Questo appunto circa l’ineffabilità della fabbrica, sebbene non abbia retto alla prova del tempo e soprattutto a quello della diffusione e proliferazione di questo genere letterario, resta tuttavia un’efficace cartina al tornasole dell’effettiva difficoltà vissuta dagli scrittori impegnati a trattare di temi industriali.
È ancor più rilevante allora, partendo proprio da questo appunto, non limitarsi a considerare quanto sia raro che all’interno delle fabbriche trovino espressione opere artistiche, ma andare a indagare più in profondità le traiettorie e i percorsi degli artisti e degli intellettuali che lavorano per l’industria, la cui condizione può essere letta in filigrana in questo scritto. Ottieri, infatti, prima di considerare che dagli artisti lontani dai meccanismi della fabbrica possono nascere solamente ricognizioni e inchieste, fa riferimento a quegli intellettuali che, invece, sono parte integrante, ingranaggio di quei meccanismi. Ne fa un cenno soltanto, liquidando in maniera cursoria e generica la questione riguardo alle possibilità che questi realizzassero un’arte in grado di narrare ed elaborare l’industria italiana: le possibilità sono scarse, perché chi lavora per la fabbrica diventa muto, tace. Il silenzio, dunque: per ragioni di tempo, di opportunità. L’osservazione di Ottieri a proposito del silenzio dell’arte d’ispirazione industriale – che pare non essere del tutto corretta alla luce delle diverse prove narrative della letteratura sul neocapitalismo degli anni Sessanta – va tuttavia intesa come indicatore dell’ambigua posizione che ricopriva l’intellettuale di fabbrica.

Detroit Industry Murals, di Diego Rivera 1933)

Detroit Industry Murals, di Diego Rivera (1933)

Quando infatti gli intellettuali organici alle aziende, superato l’avvicendamento tra parola e silenzio proprio della loro condizione, scelgono di raccontarsi e di raccontare dei propri ruoli e delle loro funzioni, lasciano trasparire chiaramente, spesso attraverso una dosata e caustica miscela di straniamento e parodia, l’idea di una fabbrica-ragno. Una fabbrica che con la sua ideologia capitalista e le proprie logiche produttive non incatena soltanto gli operai, ma riesce a ingarbugliare anche gli intellettuali suoi dipendenti in una ragnatela di questioni, tensioni e dissidi etici e morali a proposito dei compiti che sono chiamati a svolgere, delle dinamiche di cui fanno parte e della causa che hanno sposato lavorando per l’industria.
All’interno di questa importante sezione della letteratura d’ispirazione industriale, tra le cui fila si possono annoverare alcuni dei nomi di maggior rilievo del panorama letterario nazionale del Novecento, alcuni testi più di altri assumono un valore paradigmatico circa le condizioni e le posizioni degli intellettuali in seno alle aziende. Un primo caso è quello del racconto di Italo Calvino La nuvola di smog (1958). Il protagonista è un giornalista letteralmente ossessionato dalla sporcizia e dall’inquinamento, che invadono la città in cui è ambientato il racconto, circondata appunto da una nuvola di smog. L’intellettuale, a ogni modo, lavora come redattore per «La Purificazione», rivista finanziata da un ente misterioso e sfuggente come l’EPAUCI (Ente per la Purificazione dell’Atmosfera Urbana dei Centri Industriali). Se da un lato, infatti, questo ente rivolge le proprie attenzioni alle problematiche e alle questioni ambientali che caratterizzano le città industriali, dall’altro lato il suo presidente, il signor Cordà, è il rappresentante di diverse aziende estremamente inquinanti: «Lasciai l’ingegner Cordà dopo alcune altre frasi generiche e affermative, e anche stavolta non si capiva bene se la sua vera battaglia la intendesse pro o contro la nuvola».
Un altro testo esemplare circa la condizione del “lavoratore della conoscenza” è La vita agra (1962) di Luciano Bianciardi. In questo romanzo per larghi tratti autobiografico, il protagonista è un intellettuale che, per vendicare un incidente sul lavoro che ha causato la morte di molti minatori, sceglie di trasferirsi a Milano, intenzionato a far saltare in aria l’edificio dell’azienda. Il suo piano per ovvie ragioni richiede attesa e pazienza. Nel frattempo, il giovane anarchico viene tuttavia avvolto e vinto da quel sistema che mirava a scardinare: non instaura nessun contatto con gli operai alienati dalla durezza del lavoro, abbandona i suoi piani terroristici e, paradossalmente, per mantenersi inizia a lavorare duramente in quella stessa città grigia e indifferente, avviata con folle entusiasmo e cieca precipitazione verso il progresso del miracolo economico.

Barona, Milano, nel 1958 da milanobarona.myblog.it)

Barona, Milano, nel 1958 (da milanobarona.myblog.it)

Un ulteriore esempio, ancora, è L’amore mio italiano (1963) di Giancarlo Buzzi, peraltro autore anche de Il senatore (1958). Se quest’ultima è un’opera kafkiana nella quale viene narrata la vicenda di un giovane dirigente che, non incontrando mai il suo attuale capo, continua paradossalmente ad avere incontri con il fantasma del vecchio fondatore, L’amore mio italiano è un testo probabilmente più rilevante perché ascrivibile anche alla narrativa relativa all’esperienza del “capitalismo illuminato” di Adriano Olivetti, una categoria decisamente distinguibile all’interno della letteratura industriale – tra cui si deve annoverare anche Il congresso (1963) di Libero Bigiaretti, un romanzo che rappresenta una severa disamina di questo tipo di capitalismo; una disamina svolta durante un importante congresso da un pubblicitario intenzionato a far colpo su di una collega seduta in platea. Giancarlo Buzzi, scrittore e saggista impiegato presso la Olivetti, da parte sua, nella propria opera L’amore mio italiano racconta l’amore adultero tra un dirigente e un’impiegata di un’azienda di una città non specificata, che si può intuire essere Ivrea con la sua fabbrica. In questo ambiente, descritto come un luogo tranquillo e appagato, è proprio l’adulterio una delle uniche forme possibili di ribellione, dal momento che la felicità di questo mondo appare preconfezionata: i suoi attori vivono all’interno di ambienti avanzati tecnologicamente e culturalmente, belli e disponibili a offrire tutto. È proprio il tentativo da parte di questa fabbrica-mondo di risolvere ogni problema dell’esistenza di chi la abita che sembra, alla fine, rubare una parte di lotta per l’esistenza, un pezzo di vita. Quella paternalistica è una delle espressioni del capitalismo. Un’altra versione è quella padronale, raccontata iperbolicamente ne Il padrone (1965) di Goffredo Parise: qui, il presidente di una ditta commerciale milanese tiranneggia sui suoi dipendenti, i quali fedelmente si riducono a non avere alcuno spazio di libertà, nemmeno quello di scegliere la donna con cui sposarsi.
Da queste narrazioni emergono in maniera surreale ma emblematica i rischi connaturati al ruolo dell’intellettuale organico alla fabbrica. Allo stesso tempo, tuttavia, le medesime opere indicano che gli intellettuali in un certo senso sono ormai irrimediabilmente entrati in contatto con un mondo molto diverso da quello a cui si pensa fossero abituati. L’ambientazione di queste opere è il mondo delle officine e delle aziende, il regno della scienza e della tecnica.

Operai dell'Olivetti di Ivrea (da thevision.com)

Operai dell’Olivetti di Ivrea (da thevision.com)

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
O. Ottieri, La linea gotica, in O. Ottieri, Opere scelte, Mondadori, Milano 2009.
I. Calvino, La nuvola di smog, in «Nuovi Argomenti», 1958, 34, pp. 180-220.
L. Bianciardi, La vita agra, Rizzoli, Milano 1962.
G. Buzzi, Il senatore, Feltrinelli, Milano 1958.
G. Buzzi, L’amore mio italiano, Mondadori, Milano 1963.
L. Bigiaretti, Il Congresso, Club degli editori, Milano 1963.
G. Parise, Il padrone, Feltrinelli, Milano 1965.

Immagine di copertina: L’industriale Adriano Olivetti (1960) ©PUBLIFOTO/LAPRESSE.