di Jacopo Ibello
“Les hommes ont divisé le cours du soleil, déterminé les heures”
(scritta sulla facciata del municipio di Le Locle, affresco opera di Ernest Biéler)
Dopo La Chaux-de-Fonds prosegue il nostro viaggio alla scoperta dell’industria del tempo. Seconda tappa la piccola Le Locle, un borgo di 10mila abitanti a pochi minuti di treno dalla città di Le Corbusier, subito prima del confine francese. Con La Chaux-de-Fonds è parte del sito UNESCO “Urbanismo Orologiero”, e ne condivide infatti l’aspetto urbano, seppur in scala minore: un centro a scacchiera stretto in una valle con i quartieri e le fabbriche adagiati sui crinali delle colline. Come la sua vicina, una progettazione pianificata a inizio Ottocento a seguito di devastanti incendi.
La Le Locle attuale nacque dunque nel 1833, ma già da più di un secolo era attiva qui la manifattura degli orologi. Un lavoro fino ad allora artigianale, condotto in casa nei mesi invernali in cui la popolazione, prevalentemente dedita all’agricoltura, cercava di ovviare alla scarsità dei raccolti in quella che è una delle regioni più fredde d’Europa. Tra le montagne del Giura la lavorazione degli orologi era arrivata da Ginevra nel Settecento. Proprio nel 1705 si trasferì a Le Locle Daniel Jeanrichard, artigiano in seguito mitizzato come fondatore dell’industria orologiera svizzera. Tanto basta per far eleggere Le Locle come culla nazionale di questo settore.Gli appassionati di orologi troveranno pane per i loro denti. Zenith, Tissot, Montblanc, Ulysse Nardin e altri nomi di primo piano sono di casa a Le Locle, e alcuni aprono volentieri le loro porte ai visitatori. Ma anche i “cacciatori” di archeologia industriale non resteranno delusi: i freddi laboratori, dove scrupolosi tecnici in camice bianco montano movimenti al quarzo o preziose casse, sono spesso all’interno di prestigiose architetture. Le fabbriche, a volte somiglianti a palazzi borghesi d’influenza francese, sovrastano i filari di austere palazzine operaie che caratterizzano il centro, interrotte talvolta da questionabili e grigi condomini fuori scala (purtroppo non una rarità nelle città svizzere). Diversi anche gli edifici industriali dismessi e riconvertiti. La crisi degli anni ’70, causata dalla rivoluzione del quarzo, ha segnato profondamente anche Le Locle, lasciando dietro di sé tante strutture vuote. Anche qui la creatività può essere un mezzo di rigenerazione degli spazi dismessi: Luxor Factory è un’associazione che offre ad artisti una residenza presso l’omonima ex fabbrica, in cambio della realizzazione a titolo gratuito di progetti artistici che coinvolgano la popolazione locale. Da segnalare anche la bellissima fabbrica Le Phare, oggi un complesso residenziale, che si incontra scendendo dall’elegante stazione. L’edificio fu costruito a partire dal 1896 da uno dei pionieri del settore, Charles-Ami Barbezat-Baillot, per ampliare la sua attività, fino ad allora situata in un modesto edificio ancora oggi presente, in stato di forte degrado ma su cui si riescono ancora a leggere le insegne originali, sbiadite dallo scorrere del tempo. Il confronto tra il modesto condominio laboratorio, architettura simbolo dell’era pionieristica dell’orologeria in queste zone, e la monumentale fabbrica mostra il passaggio epocale dall’artigianato all’industria occorso tra Otto e Novecento. Nella vecchia casa-fabbrica lavoravano 10 persone, nel nuovo stabilimento, che ricordava più le abitazioni dei ricchi clienti degli orologiai svizzeri, erano impiegate fino a 200 maestranze.
La massiccia industrializzazione portata dal piccolo orologio, oggetto simbolo della borghesia urbana, rese queste isolate montagne dall’aspetto prevalentemente rurale e pacifico una delle prime società operaie d’Europa, con le annesse spinte rivoluzionarie. Nel 1848 furono proprio i ribelli di Le Locle e La Chaux-de-Fonds, (letteralmente) scesi dalle montagne armati fino ai denti, a rovesciare la dominazione prussiana che controllava il territorio di Neuchâtel e a proclamare una repubblica democratica che si sarebbe poi annessa come Cantone alla Confederazione Svizzera. La società che si andava formando nelle montagne del Giura era multiculturale a più livelli: immigrati non erano solo i lavoratori ma anche gli inventori e gli imprenditori. Ancora oggi passeggiando per Le Locle capita di incontrare gruppi di operai italiani pensionati, mentre i loro colleghi giovani provengono prevalentemente dalla vicina Francia in cerca di uno stipendio migliore.
Le Locle offre anche due chicche per chi non è interessato all’industria orologiera. Agli appassionati di treni è consigliata una puntata all’ex rimessa vicino la stazione, dove un’associazione di amatori si prende cura di locomotive a vapore e vecchi vagoni che, seppur segnati da un lungo abbandono (o forse proprio per questo), mostrano un fascino ancora intatto. Ma il luogo davvero imperdibile di Le Locle non ha nulla a che fare con gli orologi. Dall’imponente municipio neorinascimentale prendete la strada in direzione del confine francese e raggiungete la località di Col-de-Roches. Il tragitto è costellato da alcuni edifici interessanti, come la (fin troppo) modesta fabbrica dove Rolex produce i suoi movimenti meccanici, le cantine vinicole e la stazione di Col-de-Roches. Arrivati qui copritevi per bene per entrare nel sottosuolo alla scoperta dei mulini sotterranei.Un posto unico in Europa, che nei secoli passati fece scalpore in tutto il Continente e fu visitato da molti personaggi famosi, tra cui lo scrittore danese Hans-Christian Andersen. I mulini rappresentano plasticamente l’abilità tecnica raggiunta dalle popolazioni locali costrette dall’isolamento all’arte di arrangiarsi. Questa zona era nel Seicento una palude e ciò rendeva i corsi d’acqua inutilizzabili come forza motrice. Un gruppo di mugnai ebbe l’idea di canalizzarli all’interno di grotte sotterranee per aprirvi un mulino. Tre ruote inserite dentro tre cavità una sopra l’altra attivavano una macina in pietra e persino una segheria. L’elettricità rese in seguito inutile questo sforzo tecnologico, e nel 1889 i mulini vennero chiusi per andare incontro a un destino orribile: negli edifici di superficie fu aperto un mattatoio che utilizzò le grotte come discarica per gli scarti di lavorazione, causando danni irrimediabili alle macchine e all’ambiente.La storia della rinascita dei mulini è degna di essere raccontata. Dopo la chiusura del macello nel 1966 le grotte divennero meta di speleologi e ricercatori che iniziarono a studiare il luogo. Si costituì una confraternita di volontari che ricostruirono 2 delle 3 ruote idrauliche e la macina. E rimisero tutto in funzione! Oggi nessun appassionato di archeologia industriale dovrebbe perdersi una breve avventura all’interno di questo monumento all’ingegno umano.Così come lo è l’intera cittadina di Le Locle, Patrimonio dell’Umanità per aver portato milioni di persone nel mondo una grande conquista: misurare e gestirsi il proprio tempo. E, a proposito, è “ora” di ripartire: dove sarà la prossima tappa del nostro “Viaggio nel tempo”?