di Jacopo Ibello

Da anni ormai le aree industriali sono vissute come un corpo estraneo rispetto al resto del tessuto urbano. Vale per le aree produttive ancora in attività, espulse dai centri abitati per motivi diversi (logistici, ambientali, ecc.), ma anche per quelle dismesse che si trovano fisicamente ancora all’interno dei centri abitati. Aree di degrado e violenza, simboli di un lontano boom economico di cui i ricordi si fanno sempre più sfumati. Marghera rappresenta entrambi i casi: all’interno della vasta zona industriale si alternano fabbriche attive e altre ormai spente, in un paesaggio fatto di ciminiere, scheletri, gru, torri, silos, canali. Ciò che viene percepito come estraneo a tutto quello che rappresenta Venezia è in realtà parte integrante della sua storia.

Marghera fu, dopo la I Guerra Mondiale, il salto definitivo per la città lagunare nell’era industriale, rappresentando la rinascita economica di una città che era rimasta addormentata per secoli, passata la gloria della Serenissima. Per secoli un’area prevalentemente paludosa a sud di Mestre, fu scelta per la sua posizione geografica come zona per lo sviluppo industriale del capoluogo veneto. Nella città lagunare, a cavallo tra Otto e Novecento, lo spazio necessario all’ampliamento delle attività produttive (e al conseguente aumento della popolazione) era esaurito. Come tutte le grandi città italiane, Venezia aveva avviato uno sviluppo industriale, concentrato in aree allora periferiche come Santa Marta, Dorsoduro e la Giudecca.

Nei primi anni del Novecento si pianificò la realizzazione di una grande porto con annessi l’area industriale (sarebbe stata all’epoca e per molti anni a venire la più grande d’Europa) e il quartiere residenziale. Il grande artefice di Porto Marghera fu Giuseppe Volpi, presidente della SADE (Società Adriatica Di Elettricità), scelto nel 1917 come capo della società Porto Industriale di Venezia. I lavori per la costruzione cominciarono nel 1919. Volpi vide nell’insediamento industriale, in particolare di attività chimiche e metallurgiche, un importante mercato per vendere l’energia elettrica prodotta dalle grandi dighe alpine della sua società.

Tra gli anni ’20 e ’30 decollò lo sviluppo dell’area: prima dello scoppio della II Guerra Mondiale vi erano più di 60 stabilimenti: tra i settori più sviluppati la cantieristica, la metallurgia e la chimica. Tuttavia il massimo dell’attività produttiva venne raggiunto nel Dopoguerra con il Boom Economico, quando l’avvento della plastica fece esplodere in particolare l’industria chimica.

Oggi, in un contesto di crisi per il sistema industriale tradizionale, Porto Marghera rappresenta ancora un’opportunità per l’economia veneziana. Le grandi aree dismesse possono diventare luogo di sperimentazione urbanistica, la valorizzazione di attività industriali avanzate motore di nuovo lavoro.

Per questo Save Industrial Heritage ha scelto come evento inaugurale delle sue attività l’Invasione Digitale a Marghera il 3 maggio: mostrare come l’industria, anche se non la vogliamo vedere, faccia ancora parte della nostra società, della nostra economia e della nostra cultura. La scelta di farlo in un orario particolare, la sera, è dovuta al fatto di voler mostrare che l’industria rappresenta anche un paesaggio che sa essere spettacolare e, perché no, foriero di un nuovo modello di bellezza. Un contrasto ancora più intrigante trovandosi Marghera di fronte a quella che da molti viene definita coma la città più bella del mondo.

Marghera @ Invasioni Digitali.