Il ponte di una nazione
di Jacopo Ibello
L’immagine più tipica di Porto, il maestoso centro medievale e le sue mura “penetrati” dall’imponente ponte in ferro Luís I, è ormai uno dei più diffusi cliché turistici ma rappresenta forse al meglio l’essenza della metropoli del nord portoghese.
In questo paesaggio, compreso il luogo da dove questo viene ripreso (la collina delle cantine del Porto), la città rivela con orgoglio il suo ruolo storico di motore economico e industriale del Paese.
Il luogo che dà il nome al Portogallo, di forte tradizione borghese, mercantile e imprenditoriale, legato storicamente ed economicamente all’Inghilterra e a inizio ‘800 bastione dei liberali vittoriosi nella Guerra Civile, presentava tutte le condizioni per diventare la culla della rivoluzione industriale in quella che, seppur in declino, restava una delle potenze coloniali europee. Il Duero, dalle cui rive la città si arrampica sui ripidi crinali della valle, è stato per secoli il motore dello sviluppo sia economico che urbano: il suo corso costituisce un vero e proprio itinerario di storia industriale di questi luoghi.
Dai vigneti dell’interno provengono le uve che danno vita al vino che ha reso il nome Porto famoso in tutto il mondo, portato lungo il fiume con i tipici rabelos fino alle immense cantine di Vila Nova de Gaia, addossate sulla riva opposta al centro storico. Questi grandi complessi dai nomi per lo più anglicizzanti (Cockburn’s, Offley, Graham’s, Dow’s, Taylor’s, …), a ricordare il ruolo chiave svolto dai mercanti inglesi e scozzesi nell’esportazione in tutto il globo di questo vino, si ergono in un paesaggio industriale unico nel suo genere proprio di fronte all’antico quartiere portuale e mercantile della Ribeira, alla Cattedrale e all’imponente Palazzo Vescovile.
A collegare questi due mondi c’è il sopracitato Ponte Luís I, da cui traspare tutta la voglia di progresso e modernità che questa città e i suoi laboriosi abitanti volevano esprimere alla fine del XIX secolo. Questa grandiosa struttura di metallo ci ricorda come il Duero abbia avuto un duplice ruolo: la via di comunicazione che portava i prodotti dall’interno della Penisola Iberica verso i mari di tutto il mondo, che aveva garantito per secoli la ricchezza dei mercanti portuensi, poteva rappresentare anche però un ostacolo.
La sua valle stretta e il suo flusso torrentizio rendevano difficoltoso il suo superamento. Attraversare quel fiume, collegare finalmente in modo stabile il nord con il resto del Paese voleva dire anche combattere quella cappa di arretratezza che aveva da tempo avvolto il Portogallo, le cui grandi imprese negli oceani di tutto il mondo che lo avevano reso il primo impero globale della storia restavano solo un lontano ricordo. Arditi e incredibilmente esili nel loro aspetto, i ponti di Porto, dai pionieri di ferro fino ai loro ultimi discendenti in cemento armato, rappresentano ognuno un primato del proprio tempo, una sfida alla tecnologia disponibile ma anche la voglia di riscatto di una città e di una nazione.
Del primo ponte stabile, il Maria II, sospeso, restano solo due piloni a fianco del Luís I (oggi ospitano un ristorante). Aperto nel 1843, sostituì il pericoloso Ponte di Barche di inizio secolo, protagonista di una immane tragedia che vide 4.000 persone morire annegate mentre fuggivano dalle truppe napoleoniche che nel 1809 assediavano Porto. La svolta ci fu nel 1877 e regalò alla città un’opera che fu immediatamente riconosciuta come landmark ingegneristico di portata epocale. Purtroppo oggi è spesso ignorato dai turisti che si affannano sul ben più noto Luís I tra le cantine del Porto e i ristoranti della Ribeira, ma è il Ponte Maria Pia la vera star della valle del Duero.
Inaugurato ben 10 anni prima del suo “cugino” in centro (con cui condivide la paternità progettuale dell’ingegnere tedesco-belga Théophile Seyrig), fu costruito in poco più di un anno dal maestro delle strutture metalliche Gustave Eiffel. Il Maria Pia, oltre a fornire un’immagine di progresso tecnologico della nazione cara soprattutto alla monarchia, fu effettivamente un’opera di portata epocale per il Portogallo: permise infatti il completamento della strategica Linha do Norte, la ferrovia che collega Porto, la capitale del Nord, con Lisbona, la capitale del Paese. Non da meno fu la portata ingegneristica dell’opera: col fondale del Duero inadatto alla posa dei piloni, era necessario realizzare un ponte ad arcata singola di 160 metri, allora il più lungo del mondo.
La posizione decentrata e l’impossibilità effettiva di un qualsiasi riutilizzo hanno sollevato molti dubbi anche sull’esistenza stessa del Ponte Maria Pia, che nelle menti di qualcuno poteva anche essere “deportato” in centro come attrattiva turistica. Nonostante il suo più che ventennale abbandono, l’opera è ancora al suo posto, è stata perfettamente restaurata e oggi va senza dubbio riconosciuta come il monumento più importante del patrimonio industriale portoghese.
Risalendo il Duero verso la periferia orientale di Porto, il Ponte Maria Pia costituisce l’accesso alla parte più ricca di testimonianze industriali della città. L’industria fu un fenomeno che si diffuse ovunque nel tessuto urbano portuense, in riva al fiume come nei quartieri interni, e le numerose ciminiere che si ergono tra le case e i palazzi in vari punti della città testimoniano quel dinamismo imprenditoriale che era nel DNA di Porto da secoli e che, tra Otto e Novecento, si tramutò nell’apertura di decine e decine di stabilimenti di vario tipo.
Furono soprattutto i quartieri orientali di Bonfim e Campanhã a essere trasformati da aree di contado a zone industriali. Nell’area esistevano da secoli numerosi mulini che sfruttavano i piccoli corsi d’acqua torrentizi, ma l’apertura della stazione di Porto-Campanhã (la principale in città) nel 1875 e il successivo collegamento al resto del Paese con il Ponte Maria Pia favorirono l’installazione di grandi complessi come mulini industriali, fabbriche chimiche, tessili e alimentari. Nel 1927 ci fu l’apertura di una grande centrale termoelettrica che sfruttava il carbone estratto nel vicino bacino minerario, affiancata 20 anni più tardi da un poderoso impianto chimico per la produzione di carburo di calcio, nato per sfruttare l’elettricità prodotta in eccesso dalla vicina centrale.
Con l’industrializzazione Porto si arricchì notevolmente e aumentò di gran lunga la propria popolazione. Era la città di riferimento per il ceto industriale portoghese che qui stabilì la propria associazione di rappresentanza e la sua importanza economica la poneva in diretta rivalità con Lisbona, sede del potere politico. Ci sono edifici che restituiscono la grandezza di quel periodo come il monumentale complesso doganale (Alfândega Nova) dove venivano smistate e immagazzinate le merci oppure la nuova stazione di São Bento: nonostante non sia la più importante di Porto, la grandiosità della sua architettura e la ricchezza dei caratteristici azulejos delle sale interne non fanno certo pensare a uno scalo pressoché regionale. Nel 1917 fu inaugurata l’Avenida dos Aliados, un corto ma (forse troppo) largo boulevard attorniato da eleganti palazzi sedi di banche e assicurazioni.
Ancora oggi la regione di Porto conserva il suo primato industriale nel Paese, ma all’interno della città si respira un’aria completamente diversa: la rilocalizzazione di servizi e imprese verso nuovi quartieri a nord e sull’oceano e nei centri suburbani ha trasformato radicalmente la parte storica. Non è infrequente sentire, parlando con altri viaggiatori, espressioni come “città bombardata” o “sembra ci sia appena stata una guerra”. Le centinaia di case abbandonate o diroccate, le ferrovie e le fabbriche dismesse restituiscono un’atmosfera spettrale a una città la cui vitalità è stata per secoli uno dei punti di riferimento del Portogallo.
Le rovine della centrale elettrica, degli impianti chimici, delle industrie tessili e dell’imponente Mattatoio Generale che dominano Campanhã, delineano una crisi che va ben oltre le recenti sventure economiche del Paese e ha radici nella pianificazione urbana dei decenni passati. Per trovare un paesaggio industriale vivo e attivo bisogna andare nei comuni della cintura come Gaia e Matosinhos, dove si sviluppano il porto e altri moderni impianti produttivi. Questi centri della cosiddetta Grande Porto sono ormai città vere e proprie, alcune di dimensioni uguali o persino superiori della stessa Porto.
Lo stato di abbandono in cui è lasciata non oscura comunque la bellezza e l’unicità di questa città. Anzi è ormai diventato una specie di caratteristica distintiva, per molti costituisce il vero fascino di Porto. Lungo il fiume ci si può avventurare sulle ferrovie abbandonate costruite a ridosso del crinale, pedalare a fianco di una fabbrica chimica in rovina, esplorare antichi forni giganti vicino il Ponte Maria Pia. Non mancano però anche i musei, dedicati alle eccellenze che hanno reso famoso la città: il vino Porto sopra tutti, le cui grandiose cantine ormai sono non più solo un luogo di produzione ma anche di turismo di massa, ma ci sono anche la stampa, i trasporti, i tram a raccontare la storia tecnologica e produttiva della città Invicta, spesso all’interno dei luoghi e dei quartieri che hanno lanciato l’avventura industriale di Porto e della nazione a cui questo luogo magico regala il nome.
Da Vedere:
- I Ponti sul Duero.
- Cantine del Porto a Vila Nova De Gaia, lungo il Duero.
- Stazione ferroviaria di São Bento.
- Museu dos Transportes e Comunicações: www.amtc.pt
- Museu Nacional da Imprensa: www.museudaimprensa.pt