Acqua, Bellezza, Tecnologia

di Jacopo Ibello

È ovunque, impossibile non notarla, non sentirla. L’acqua è sicuramente l’elemento più presente nel paesaggio di Tivoli. Cascate e fontane non si contano esplorando questa antichissima città. I suoi abitanti l’hanno sapientemente sfruttata da secoli come fonte di bellezza e ricchezza. Imperatori e cardinali vi hanno eretto alcune delle più magnifiche ville della storia, in cui l’acqua è parte integrante del loro fascino.

Le ville tiburtine sono i luoghi dove le vette dell’architettura e dell’arte incrociano quelle dell’ingegneria idraulica. Da migliaia di anni gli abitanti di Tivoli combattono contro l’impetuosità dell’Aniene, cercando però anche di sfruttare questa risorsa unica a loro vantaggio. Per governare la forza del fiume già in epoca romana vennero scavati condotti sotterranei che avrebbero alimentato in futuro non solo la bellezza, ma anche il lavoro.

View of Tivoli, Gaspar van Wittel, ca. 1700 (da www.societatiburtinastoriaarte.it)

View of Tivoli, Gaspar van Wittel, ca. 1700 (da www.societatiburtinastoriaarte.it)

La relazione millenaria tra Tivoli e l’acqua non si esprime infatti solo in magnifiche fontane e giochi d’acqua. L’acqua è anche forza motrice, e l’altra faccia di Tivoli è proprio quella industriale, molto più antica della stessa Rivoluzione Industriale. Nel Medioevo nacquero le prime corporazioni, ognuna delle quali aveva la gestione di parte delle condotte. Durante il Rinascimento la città era già un centro manifatturiero di primaria importanza nello Stato Pontificio. La Tivoli delle ville aristocratiche e la Tivoli protoindustriale non erano mondi paralleli, poiché entrambi erano il frutto dell’ingegno umano nel domare l’acqua. Non a caso nella Fontana di Venere a Villa d’Este vi è raffigurata l’identità industriale della città, attraverso ruote di mulini che spuntano dalla rappresentazione allegorica della stessa.C’è un luogo dove la stratificazione delle epoche storiche è più percepibile che altrove. Nel Santuario di Ercole Vincitore il confine tra archeologia classica e industriale è di fatto inesistente, e chi pensa oggi di aver inventato il concetto di riuso del dismesso viene smaccatamente smentito dalla storia. Nello stesso luogo dove in epoca romana si celebrava una credenza religiosa, 800 anni dopo la scienza e la tecnologia trionfavano con l’accensione della prima luce elettrica d’Italia. I canali sotterranei derivati dall’Aniene vennero convogliati nella maestosa torre del Canale Canevari per poi precipitare nelle centrali di Vesta e dell’Acquoria. Quest’ultima, inaugurata nel 1892, accese le prime lampadine a Roma, sei anni dopo Tivoli.

Il colossale santuario già da oltre due secoli conosceva un’intensa attività industriale. Paradossale, visto con gli occhi di oggi, ma proprio lo Stato del potere religioso per eccellenza, quello Pontificio, aveva riutilizzato proprio il più grande santuario antico d’Italia per la produzione di armamenti. Corazze, pezzi di artiglieria e polvere da sparo uscivano dal tempio. Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone in esilio a Roma, rilevò la struttura per trasformarla in una vera e propria fonderia di cannoni, che nel 1815 passò a lavorazioni metallurgiche per scopi più pacifici.
Tivoli industriale, nelle menti di tutti, vuol dire però soprattutto carta. Una lavorazione anch’essa antica, derivata dalla presenza di numerosi stampatori a partire dal XVI secolo. Le cartiere aprirono nel Settecento, ma la prima grande impresa fu quella di Giuseppe Segré, fondata nel 1889 sempre nel Santuario di Ercole. La maggioranza degli “Stabilimenti” (come vengono chiamate le cartiere a Tivoli), tuttavia, si concentrò lungo il costone sinistro che domina la valle dell’Aniene, a nord del centro storico.

A unire le due parti della città la Via degli Stabilimenti, che in realtà ripercorre l’antico tracciato romano della Tiburtina la quale, passando sotto il Santuario, entrava in città nei pressi dell’Acropoli. Ancora oggi è possibile ammirare la profonda e spettacolare gola dell’Aniene come facevano i viandanti del passato, ma non completare il percorso a causa della chiusura della galleria sottostante le cartiere.

Osservando la città dal Santuario del Quintiliolo, sul costone opposto della gola, si vede l’origine della chiusura: il crollo della grande Cartiera Amicucci e Graziosi, situata proprio sopra la galleria. Questa e le altre cartiere del complesso oramai sono una città fantasma, chiuse da decenni e depredate di tutto. Un paesaggio spettrale di ciminiere, condotte abbandonate, edifici testimoni di una gloria industriale secolare ma ormai terminata. Ciò che resta della Tivoli che produce (la gomma, l’ultima cartiera, il travertino) lo si trova negli anonimi sobborghi in pianura, il cui nome di Villa Adriana risuona quantomeno irrispettoso.

Sulla città alta rimane un grande patrimonio industriale fatto di edifici, opere idrauliche, innovazioni che hanno segnato il progresso di un’intera nazione. Oggi lo stato di abbandono ha trasformato gli Stabilimenti in una parte negletta di Tivoli, a rischio crollo o demolizione per incuria e speculazione. Nell’attesa, forse vana, che anche il quartiere delle cartiere entri a far parte dell’immenso patrimonio culturale di questa città, dal Belvedere del Quintiliolo ammiriamo un paesaggio di cascate, templi, ville, fabbriche, centrali, frutto della millenaria lotta con l’acqua per la bellezza e il progresso.