Archeologi industriali di tutti i paesi, unitevi!
di Jacopo Ibello
Oggi vogliamo portarvi a visitare una città tedesca che, se vi affascina la cultura industriale, non potete perdervi almeno una volta nella vita. In particolare nel 2025, quando sarà Capitale Europea della Cultura e, come potete immaginare, molte iniziative vedranno coinvolto il suo immenso patrimonio industriale. Chemnitz a molti evoca luoghi comuni tipici della DDR: i grigi condomini prefabbricati (Plattenbauten), Trabant e altri classici dell’Ostalgie che (pur non mancando) cercheremo di superare.
Al contrario di quello che il suo temporaneo nome socialista (Karl-Marx-Stadt) e la sua fama di grigia città operaia sovietica possono far pensare, ovvero una città industriale inventata dai piani quinquennali, Chemnitz ha alle spalle una lunga tradizione manifatturiera che è ben salda ancora oggi nell’economia, nel paesaggio urbano e nell’identità culturale. Come molte altre località della Sassonia, la posizione favorevole ai piedi dei Monti Metalliferi, ricchi di materie prime, e la presenza di corsi d’acqua ne hanno fatto una “città-fabbrica” ben prima della Rivoluzione Industriale. Tra Quattrocento e Cinquecento erano diverse le attività di lavorazione dei metalli estratti nelle miniere circostanti, in un tempo in cui il ruolo di medico cittadino e di sindaco venne ricoperto nientemeno che da Georg Agricola, il padre della mineralogia ritenuto da molti il fondatore delle scienze minerarie moderne. Qui Agricola scrisse il suo capolavoro, il dodicesimo libro del De re metallica, che sarebbe rimasto per i successivi due secoli la “Bibbia” dei processi di estrazione e lavorazione mineraria.
La vera identità industriale Chemnitz la raggiunse però dopo la terrificante Guerra dei Trent’Anni (1618-1648), quando si imposero in città le lavorazioni tessili e diverse altre produzioni manifatturiere, andando a definire quel tessuto variegato e plurisettoriale di imprese che sarebbe fiorito tra Otto e Novecento. Gli imprenditori e i lavoratori di questa città si distinsero con eccellenze in tanti campi diversi, dal già citato tessile alle macchine utensili, e poi automobili, macchine da scrivere, biciclette, locomotive… Chemnitz fu una di quelle città che trascinò la Germania verso la modernità e una delle immagini migliori è senza dubbio quella dei cavalli che trainavano le locomotive prodotte dalla ditta Hartmann attraverso la città verso la stazione, poiché l’azienda non era stata dotata di ferrovia dedicata. Un incrocio tra passato e futuro che solo in quel presente straordinario che fu il periodo tra XIX e XX secolo poteva accadere.
Bombardamenti e discutibili ricostruzioni comuniste e post-comuniste hanno stravolto irrimediabilmente l’aspetto di questa città, ma la lettura della sua identità industriale rimane chiara e avvincente, tra musei e architetture imperdibili per gli appassionati. A partire dal luogo dove estetica e cultura del lavoro si incontrano: il Museo dell’Industria (Industriemuseum Chemnitz). Una magnifica ex fonderia composta da quattro capannoni che si affacciano su strada con eleganti frontoni Jugendstil e slanciate finestre basilicali. Una cattedrale del lavoro dove in passato centinaia di operai fondevano il metallo e lo trasformavano in macchine a vapore, torni, piallatrici, trapani, oggi c’è un museo con l’ingrato compito di raccontare la storia industriale della regione. Ingrato perché racchiudere in uno spazio tanti settori diversi, attraverso periodi storici altrettanto complessi è un’impresa considerevole. Lo spazio industriale fornisce autenticità al racconto, che si snoda dalle miniere (l’inizio di tutto) alle grandi macchine tessili: al centro domina una lunga striscia che raccoglie i prodotti più importanti della storia industriale sassone, come le macchine da scrivere, le moto, le auto e molto altro.
Ad accoglierci c’è una sala finemente decorata di inizio Novecento dove alloggiava la macchina a vapore della fonderia. L’ambiente è stato riportato dal museo allo splendore originario e vi è stata alloggiata una macchina di quell’epoca. Il “dinosauro” d’acciaio è perfettamente funzionante e vengono fatte regolarmente dimostrazioni ai visitatori.
Un altro vanto dell’industria sassone è certamente la produzione di automobili e motociclette. Una storia complessa e variegata, cominciata a inizio secolo e che ha nella vicina Zwickau il suo cuore pulsante. Anche a Chemnitz e dintorni questo settore ha lasciato tracce nella storia e nel paesaggio urbano. Il Museo dell’Industria ha alcuni interessanti cimeli di quest’epoca, in particolare si segnala il “cubo” che espone sui quattro lati modelli della DKW, che negli anni Venti nella vicina Zschopau gestiva la più grande fabbrica di moto al mondo e che, dentro il gruppo Auto Union, sfornava piccole utilitarie a due tempi.
Nello stesso gruppo, che sarebbe stato poi all’origine della moderna azienda Audi, era attiva anche un’azienda di Chemnitz, la Wanderer, di cui alcuni modelli si ritrovano nel museo ma non solo. Se desiderate approfondire il tema motori, è consigliatissima la visita in un luogo particolare, testimone dell’epoca pionieristica dell’automobile. A Chemnitz è sopravvissuto, infatti, uno di quei garage multipiano tipici degli anni Venti e Trenta del Novecento, dove i gentiluomini che potevano permettersi un’auto arrivavano, lasciavano il mezzo al coperto e al sicuro, nelle sapienti mani di meccanici che lucidavano, oliavano e aggiustavano. Qui i viaggiatori trovavano anche un hotel e persino un casinò. Lo Stern-Garage, costruito nel 1928 nel tipico stile Bauhaus tedesco dell’epoca, si trovava lungo un’arteria all’epoca già trafficata, in una zona popolata di fabbriche (tra cui la nostra fonderia che ospita il sopracitato Museo dell’Industria); nota di curiosità: proprio le aziende circostanti si lamentarono della costruzione di questo garage multipiano per la paura che andasse a oscurare la luce solare che entrava negli stabilimenti.
Lo Stern-Garage, colpito solo di striscio da un bombardamento, è giunto fino a noi praticamente intatto. Nei piani alti si trova un negozio di mobili che usa i box delle auto come punti espositivi, da basso invece troviamo il Museo dei mezzi di trasporto della Sassonia (Museum für sächsische Fahrzeuge), che espone in un percorso cronologico decine e decine tra bici, auto e moto di produzione locale. Modelli del gruppo Auto Union, poi le tipiche Trabant e le moto MZ e Simson, queste ultime ancora oggi popolarissime tra i giovani della Germania orientale. Alcune auto esposte ci mostrano anche come funzionasse il garage: sembrano uscire infatti dagli ascensori che permettevano ai mezzi di raggiungere i box ai piani superiori.
Restiamo in zona per andare a svelare un altro aspetto interessante del patrimonio industriale di Chemnitz: l’architettura. La “bolla di vetro” in cui finirono le industrie del blocco orientale fece tenere in piedi numerosi stabilimenti che in Occidente sarebbero stati ritenuti obsoleti e, di conseguenza, demoliti (ciò che in effetti è accaduto). In una città come questa, dove l’industria pervade quasi tutti i quartieri, si è venuta a creare una vera e propria enciclopedia a cielo aperto dell’architettura industriale, che spazia dai primi opifici tessili di inizio Ottocento alle monumentali fabbriche di un secolo dopo fino alle architetture più razionali e funzionali impostesi in epoca Bauhaus.
Se dal Museo dell’Industria facciamo pochi passi entriamo in un quartiere più tranquillo, pur restando lungo la stessa strada, la Zwickauer Straße, che perde ora le cinque corsie e la sede tranviaria per ritornare quella che doveva essere ai tempi della Rivoluzione Industriale. Ci sono ancora le case e i palazzi dell’epoca, qua e là spuntano come giganti dormienti le vecchie industrie. Un’occhiata la merita sicuramente l’ex filatura di lana Bernstein (Wollweberei Bernstein), la cui classica facciata viene interrotta da questa curiosa serie di sette bovindi in vetro, un incrocio interessantissimo tra il vecchio e il nuovo nel 1925, quando l’edificio venne costruito. Quasi di fronte si trova il Museo dei Tram (ne parleremo in seguito).
In condizioni tutt’altro che ottimali sono però altri stabilimenti ben più imponenti e importanti. La fabbrica di macchine tessili Kappel (dal nome del quartiere), fondata nel 1860, nasconde dietro le sue monumentali facciate un vero e proprio gioiello. All’inizio della vita dell’azienda, quando acciaio e cemento non si erano ancora imposti nelle costruzioni industriali, venne realizzata un’ala della fabbrica a due piani interamente in legno. Purtroppo è inaccessibile al momento e ne esistono poche immagini, di cui una del famoso portale Industrie.Kultur.Ost, la “Bibbia” per chiunque volesse scoprire il patrimonio industriale della Sassonia. Chissà, magari per il 2025 potrà essere aperta al pubblico.
D’altronde, Chemnitz ha ormai una certa esperienza nella rigenerazione dei complessi industriali, ma c’è ancora molto da fare, come vediamo proseguendo nella nostra passeggiata architettonica. Ci troviamo infatti davanti a una delle fabbriche simbolo dell’età d’oro di questa città: la Wanderer. Agli appassionati di auto anni Trenta questo nome non risulterà del tutto sconosciuto, un modello è esposto presso il Museo dell’Industria: era uno dei marchi del gruppo Auto Union, meno noto delle piccole DKW, delle lussuose Horch e delle sopravvissute Audi. Ma la Wanderer non produceva solo auto e la grandiosa fabbrica che ci troviamo davanti era nata per le biciclette, seguite da macchine utensili, da scrivere, calcolatrici, moto e persino motori aeronautici.
Una produzione forse troppo anonima, qualcuno potrebbe pensare, per avere alle spalle cotanta bellezza e grandezza, ma la Wanderer era effettivamente un colosso, specie nel settore ufficio. L’edificio “Continental” è il più vecchio e prende il suo nome dal modello di macchina da scrivere di maggior successo dell’azienda, mentre accanto si trova il più moderno stabilimento per la costruzione di calcolatori.
Non è finita qui: andando oltre il parcheggio incontriamo il complesso multifunzionale della Chemnitz Arena, dove si organizzano fiere, concerti, manifestazioni sportive ecc. Questo edificio, destinato alla produzione di motori aeronautici, fu l’ultimo ampliamento attuato in epoca DDR, quando Chemnitz era già diventata Karl-Marx-Stadt. Si distinguono quattro torri, che servivano come banco prova per i motori e sono state conservate per la loro particolarità. Sono testimoni di un’avventura, quella dell’industria aeronautica della DDR, che si chiuse già nel 1961, quando la Germania comunista rinunciò ad averne una.
Non c’è solo abbandono però a Chemnitz, anzi. Scoprire questa città vuol dire rendersi conto quante potenzialità offre la rigenerazione del patrimonio industriale. Negli ultimi dieci anni, dopo essersi leccata le ferite della massiccia deindustrializzazione post-unitaria, la città è letteralmente rinata diventando un moderno polo manifatturiero e terziario, sfruttando anche storici edifici una volta destinati alla produzione che oggi a loro volta ridiventano produttivi. Una produzione certo diversa, più contemporanea, dove dominano creatività, progettazione, alta tecnologia, manifattura 4.0. Come recita lo slogan di uno dei tanti parchi d’impresa nati qui: “Benvenuti nel mondo del lavoro di domani”.
Siamo lungo il fiume Chemnitz per vedere forse il più affascinante di questi progetti di riconversione, il complesso Wirkbau. Tra le due guerre mondiali la Schubert & Salzer era la più grande fabbrica di macchine tessili della Germania: il nome attuale deriva dal postbellico Wirkmaschinenbau (fabbrica di macchine per maglieria), la tipica denominazione statale e asettica dell’epoca DDR. Il simbolo è la straordinaria torre dell’orologio, un’architettura bella ma soprattutto funzionale: ospitava infatti gli ascensori della nuova fonderia e il gruppo di campane che segnalava l’orario. Erich Basarke è l’autore di questo gioiello in mattoni alto oltre sessanta metri. Dal 1996 si sono insediate in questo complesso una cinquantina di aziende e vi lavorano oltre mille persone.
Una città industriale non la riconosciamo però solo dalle fabbriche. Queste città sono state le prime dove la modernità del Novecento si è imposta nel paesaggio urbano coi suoi simboli: le stazioni ferroviarie, i ponti, i grandi magazzini, i servizi pubblici. Ai trasporti dedicheremo la parte finale dell’articolo, per ora vi invitiamo a fare un giro in ciò che rimane del centro storico di Chemnitz. Curiosamente, negli ultimi anni sono stati costruiti centri commerciali ultramoderni, mentre i due grandi magazzini storici hanno trovato utilizzi diversi. Tietz e Schocken erano due catene molto in voga nella Germania del primo Novecento, create da facoltosi commercianti ebrei, la seconda in particolare era originaria della vicina Zwickau. A Chemnitz troviamo due magnifici esemplari, rappresentativi di epoche e architetture diverse.
I magazzini Tietz posseggono il tipico aspetto déco che caratterizza altri edifici della stessa società nel resto della Germania, a cui si aggiunge un ampliamento in stile Bauhaus del già citato Basarke; oggi si trova al suo interno un grande polo culturale, DASTietz, gestito dalla municipalità, dove trovano spazio l’università popolare, la biblioteca comunale, musei, attività commerciali e bar.
A proposito di Bauhaus, gli amanti del genere non possono perdersi i magazzini Schocken: come alcuni suoi simili, anche quelli di Chemnitz vennero progettati dal genio Eric Mendelsohn. I lavori di restauro che hanno portato all’apertura del Museo Statale di Archeologia (Staatliches Museum für Archäologie Chemnitz) all’interno hanno anche ricostruito la facciata e gli ingressi come nel 1930.
Non è possibile infine raccontare Chemnitz senza il suo vero simbolo, che l’ha resa celebre nel mondo e “meta di pellegrinaggio” dei nostalgici del comunismo. Parliamo ovviamente del colossale busto di Karl Marx, alto 13 metri e inaugurato nel 1971. Ancora oggi è il secondo busto più grande del mondo – il primato rimane ben saldo nelle mani di un gigantesco Lenin nella lontana città siberiana di Ulan-Ude. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Chemnitz fu rinominata dalla DDR “Karl-Marx-Stadt”, per sottolineare ancor di più il ruolo e l’identità di città industriale e operaia. Alle spalle della scultura si trova un lungo edificio dall’architettura tipicamente sovietica, soprannominato dai locali Parteisäge (sega del partito) per la parziale forma a zig zag, nato per ospitare la locale sezione della SED, il partito socialista unico della DDR. Su questo edificio, a fare da sfondo al busto, una parete che copre tutti gli otto piani riporta il motto del Manifesto del Partito Comunista “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” in tedesco, russo, francese e inglese.
Concludiamo con le ferrovie. Non c’è città (post)industriale degna di questo nome che non dia un po’ di soddisfazione ai patiti di rotaie. D’altronde qui nacque la Sächsische Maschinenfabrik del pioniere Richard Hartmann, che rese la Germania uno dei punti di riferimento nella costruzione di locomotive a vapore. Ammiriamo a ovest del centro il possente quartier generale del 1897, quando l’azienda aveva già sessant’anni di attività alle spalle.
Abbiamo già menzionato il Museo dei Tram (Straßenbahnmuseum Chemnitz), sito nel quartiere di Kappel non lontano dal Museo dell’Industria. Come molti altri del suo genere, il museo è situato in un ex deposito riadattato a museo con una cospicua collezione di tram, autobus e treni a scartamento ridotto che raccontano la storia del trasporto pubblico locale. Dal museo partono tour a bordo di tram storici alla scoperta della città.
La stazione centrale (Chemnitz Hauptbahnhof), che vi abbiamo già mostrato nel nostro “viaggio virtuale” tra le stazioni della Sassonia, rappresenta un’interessante contrasto tra il fabbricato viaggiatori, uno dei più vecchi tra le grandi stazioni tedesche, risalente al 1871, e la tettoia di epoca DDR di circa un secolo dopo, per la quale venne sacrificata la precedente costruzione di Peter Behrens. La stazione è interessante per la particolare conformazione che permette di passare direttamente dai treni ai tram all’interno della struttura, senza dover uscire sul piazzale.
Gli appassionati del genere sanno però che il meglio deve ancora venire. Tra di loro Chemnitz rappresenta una delle mete imprescindibili grazie al Museo Ferroviario della Sassonia (Sächsische Eisenbahnmuseum), situato presso le ex rimesse di Hilbersdorf. Proprio la collocazione e lo stato delle strutture, che non si può certo definire “patinato”, lo rendono uno dei musei di treni forse più autentici d’Europa. Prima di arrivare alle officine è d’obbligo un salto all’edificio che ospita l’apparato di manovra di scambi e segnali, oggi trasformato in museo (Technikmuseum Seilablaufanlage): tutto è perfettamente funzionante e si effettuano dimostrazioni di assemblaggio di treni merci, azionando il complesso sistema di cavi parzialmente riportato all’originale dai volontari.
I due musei formano lo Schauplatz Eisenbahn, un’esperienza attiva dedicata alla tradizione ferroviaria che si respira a pieni polmoni in questi luoghi che hanno mantenuto l’atmosfera di un tempo. Il massimo lo si raggiunge durante i Giorni del Vapore (Dampftage) dopo Ferragosto, in cui alcune delle locomotive vengono messe in moto e fatte girare sulle piattaforme, mentre nelle rimesse gli appassionati sciamano intorno alle bancarelle alla ricerca di cimeli, libri e modellini.
A completare la straordinaria collezione ci sono le Feldbahnen, letteralmente le ferrovie da campo, ovvero quei trenini a scartamento ridotto che servivano fattorie, foreste e attività produttive di campagna, e poi storiche locomotive diesel ed elettriche. Una menzione se lo merita l’autotreno VT 18.16 della Deutsche Reichsbahn, le ferrovie nazionali della DDR: un veloce treno di lusso diesel destinato alle relazioni internazionali, uno degli ambasciatori della Germania Est in Europa.
Ce ne sarebbe ancora da raccontare di questa città, che rappresenta un piccolo gioiello ancora un po’ grezzo ma dalle grandi potenzialità. Dai quartieri liberty alle ville di Henry Van de Velde, alle decine e decine di archeologie industriale abbandonate e riconvertite. Un giro a Chemnitz, fu Karl-Marx-Stadt, programmatelo per il 2025 (o anche prima!), non vi deluderà.