Ingegneria del paesaggio
di Jacopo Ibello
Seconda tappa alla scoperta del Patrimonio UNESCO della Ferrovia Retica (RhB). Dopo aver viaggiato sul Trenino Rosso del Bernina, visitiamo la Linea dell’Albula. Questo tratto ferroviario, famoso per le sue “pazze” spirali e i vertiginosi viadotti, fa parte della rete storica della RhB e fu inaugurato completamente nel 1904. Obiettivo era collegare la località turistica di St. Moritz con la valle del Reno: si trattava (e si tratta) dunque di una connessione vitale per il turismo, ma anche per rompere l’isolamento delle valli interne dei Grigioni dal resto della Svizzera.
Ancora di più rispetto alla linea del Bernina, viaggiando sulla Ferrovia dell’Albula si percepisce l’importanza che il treno ha nell’economia e la società locale. I turisti siedono fianco a fianco coi pendolari e lungo il percorso si incrociano spesso convogli merci. L’esigenza quindi di una “vera” ferrovia ha portato anche qui, come sul Bernina, a progettare un tracciato complesso causa rinuncia alla cremagliera. Le pendenze non sono estreme come abbiamo raccontato nel precedente episodio, dove scalavamo quasi 2.000 metri in meno di 35 km, ma il risultato è ugualmente un viaggio dai panorami spettacolari in armonia con la natura. Partiamo dall’imbocco del tunnel dell’Albula e arriviamo al famosissimo Viadotto di Landwasser presso Filisur, passando attraverso le strette spirali tra Preda e Bergün. Lo si può fare, naturalmente, in treno, che con la sua andatura lenta permette di godere con una certa calma delle bellezze, sia ingegneristiche che paesaggistiche. Oppure a piedi, lungo il già citato sentiero Via Albula/Bernina: qui viene integrato da un percorso di pannelli, chiamato Bahnerlebnisweg Albula, che raccontano aspetti tecnici e non solo di questa straordinaria opera. Il tunnel dell’Albula è un manufatto certamente meno spettacolare di quelli già citati, ma rappresenta il cuore dell’intera linea. Lungo poco meno di 6 km, supera a 1.800 m di altezza lo spartiacque tra Danubio e Reno. La sua costruzione fu una vera impresa, poiché tra crolli e allagamenti ci vollero 4 anni e 16 degli oltre 1.300 minatori impiegati vi persero la vita. Oltre a ciò la ditta incaricata della costruzione fallì e la RhB fu costretta ad assumersi l’onere di ultimare l’opera. Con l’apertura del tunnel l’Engadina venne finalmente collegata al resto dei Grigioni, ampliando notevolmente il suo potenziale turistico. Ma non è finita qui, poiché è in costruzione un nuovo tunnel che sostituirà il vecchio: presso il cantiere è presente una “Infoarena” che racconta questa nuova opera con un percorso divertente adatto anche ai bambini.
Tra Preda e Bergün, distanti appena 6,5 km, c’è una differenza di altitudine di oltre 400 m. Per superare questo ostacolo, senza usare la cremagliera, la distanza venne quasi raddoppiata dagli ingegneri attraverso due grandi tornanti e tre tunnel a spirale uno sopra l’altro. Dal treno si ha l’impressione di disorientamento, osservando da angolazioni e altezze diverse lo stesso paesaggio scomparire e riapparire. Dalla valle ci si sente invece come le miniature dei plastici ferroviari, osservando questi trenini colorati che entrano ed escono dalla montagna e attraversano più volte il fiume su viadotti alti anche 30 m.
Tra i pannelli rossi che raccontano la storia e la tecnologia della Ferrovia dell’Albula ce n’è uno dedicato a coloro che, materialmente, l’hanno costruita. Le maestranze erano composte quasi totalmente da italiani, che vivevano e lavoravano in condizioni ambientali e atmosferiche spesso proibitive. Lo scavo dei complessi tunnel era continuamente funestato da crolli e allagamenti, essendo le Alpi dell’Albula particolarmente ricche di sorgenti. Gli operai vivevano in casette di legno, facendo i conti con rigidi inverni a cui di certo non erano abituati nella loro terra di origine. Il rapporto con la popolazione locale fu ovviamente complesso, ma questo esercito di 5.000 minatori italiani contribuì non poco a ravvivare una valle che, come tutte le valli alpine dell’epoca, era flagellata da povertà ed emigrazione. Ci fu un breve ma intenso boom economico nei villaggi che, alla fine dei lavori, ritornarono al loro tradizionale torpore. O quasi, perché la ferrovia ruppe comunque l’isolamento diventando portatrice di turismo e nuove relazioni, diventando una cruciale risorsa economica per gli abitanti.
A Bergün c’è il Bahnmuseum Albula, un piccolo museo dedicato alla storia della ferrovia, con espozione di cimeli e installazioni multimediali che raccontano la sfida di costruire un’infrastruttura così audace oltre un secolo fa. Non può mancare un plastico ferroviario, mentre forse qualche appassionato vorrebbe vedere qualche rotabile storico in scala originale. Bisogna accontentarsi di un vecchio “Coccodrillo” all’entrata del museo, che si può comandare grazie a un simulatore al suo interno.Superata Bergün la ferrovia raggiunge Filisur, che secoli fa fece fortuna con le miniere di ferro e zinco di Bellaluna. Di queste resta solo qualche rovina archeologica, mentre oggi la vita del villaggio ruota intorno all’allevamento e alla ferrovia. Filisur è un importante snodo perché la linea dell’Albula incrocia quella per Davos. Poco dopo la stazione si trova l’opera simbolo di tutta la Ferrovia Retica: il Viadotto di Landwasser. Quello che è uno dei ponti ferroviari più iconici al mondo permette al treno di superare la stretta gola del torrente a un’altezza di 65 m, facendogli contemporaneamente compiere un’improvvisa svolta in un raggio di soli 100 m.
Per ammirare questa meraviglia architettonica ci sono ben tre punti panoramici, di cui i più spettacolari sono quello ai piedi del viadotto e quello sul versante nord. Osservando la struttura dalla base si rimane meravigliati dall’imponenza dei pilastri ma allo stesso tempo dall’esilità della sua architettura, che permette al viadotto nel paesaggio circostante quasi come un elemento naturale.
Il “belvedere” nord si raggiunge dopo una breve arrampicata, passando sotto il bel Viadotto di Schmittentobel: da qui si ha la vista più famosa del Landwasser, coi treni che appaiono dalla montagna e affrontano sospesi la stretta curva, per poi scomparire sotto i piedi di chi guarda.La Ferrovia dell’Albula, così come quella del Bernina, è il simbolo del riscatto delle comunità rurali dall’isolamento attraverso quelle abilità tecnologiche e ingegneristiche sviluppate dalla Rivoluzione Industriale che ne aveva messo a rischio l’esistenza. Un’opera che non smette di meravigliare nemmeno dopo 100 anni, per l’audacia e l’integrazione col fragile paesaggio alpino.