"La Chaux-de-Fonds può essere considerata come un'unica manifattura orologiera" Karl Marx, Il Capitale, 1867

di Jacopo Ibello

Città industriali ormai ne ho visitate parecchie: città minerarie, dell’acciaio, dell’automobile, del tessile… Ma nel mio navigare nella rete ricordo ancora la curiosità suscitatami dallo scoprire l’esistenza di una città pensata e progettata per produrre… orologi.

Durante uno dei miei soggiorni nella Romandie, la Svizzera francese, ho deciso di andarci. L’idea di “viaggio nel tempo” mi è venuta grazie al treno che da Neuchâtel si arrampicava fino a quasi mille metri d’altezza, entrando all’improvviso dopo una galleria in un paesaggio completamente innevato. La neve a perdita d’occhio, che in questo inverno fuori dal normale non avevo ancora visto, mi ha regalato quella strana sensazione di passare in un’altra dimensione.

Passeggiare per La Chaux-de-Fonds è un viaggio nel tempo perché la città deve la sua forma alla misurazione del tempo e perché, grazie alla sensibilità della sua popolazione, la conservazione di quella forma è pressoché perfetta. I nuovi edifici costruiti negli ultimi decenni non hanno intaccato la coerenza urbana di quella che Karl Marx definì ne Il Capitale come “un’unica manifattura orologiera”.

Quassù, tra le montagne sopra Neuchâtel, dopo il devastante incendio del 1794, gli amministratori decisero di ricostruire il centro abitato assoggettandolo alle esigenze dell’allora nascente “industria del tempo”. Quest’ultima è legata indissolubilmente alla Svizzera, alla sua storia politica, sociale e persino religiosa: all’origine del suo sviluppo ci fu proprio Giovanni Calvino, la cui riforma protestante, introdotta nel 1536, proibì ai cittadini di Ginevra di portare dei gioielli. Gli orefici, che erano una delle colonne portanti dell’economia locale, dovettero riciclare le proprie competenze in un prodotto che fosse funzionale e non più un mero lusso esibizionista: nel ‘600 crearono quindi la prima corporazione orologiera, affiancati dagli ugonotti. Questi, rifugiatisi in città per sfuggire alle persecuzioni religiose in Francia, erano noti come abilissimi artigiani. Gli orologi erano un oggetto utile, soprattutto per la nascente borghesia commerciale e imprenditoriale europea che affinava sempre di più l’equazione tra tempo e denaro. Ma la funzionalità fu ben presto adornata da smalti e pietre preziose, rendendo l’orologio quello che noi oggi conosciamo: uno status symbol, un’espressione di stile individuale che va ben oltre un semplice “che ore sono?”. La storica oreficeria ginevrina aveva sposato perfettamente l’abilità nella meccanica di precisione degli artigiani ugonotti: era nata una tradizione industriale che dura con successo ancora oggi.

Ma come si è arrivati dalle sponde del Lemano alle verdi montagne del Giura? In seguito al grande successo dei loro prodotti, per fronteggiare meglio le continue richieste del mercato, gli orologiai di Ginevra esternalizzarono a partire dal ‘700 pezzi di produzione verso i villaggi rurali giurassiani. I contadini di queste valli d’inverno non potevano lavorare i campi e quindi cercavano dei lavori temporanei per arrotondare: a causa del loro isolamento erano abituati ad arrangiarsi e possedevano dunque rudimenti di meccanica e metallurgia. Piano piano divennero i maestri d’orologeria che svilupparono molte delle tecnologie ancora oggi alla base degli oggetti che portiamo al polso. Tra i centri che si distinsero in questa industria ci furono da subito le vicine Le Locle e La Chaux-de-Fonds.

Nella foto seguente una delle poche case contadine pre-XIX secolo superstiti, delle fattorie dove i piccoli allevatori giurassiani iniziarono le loro carriere da piccoli artigiani orologiai.

La Chaux-de-Fonds, come abbiamo visto, venne sconvolta da un incendio nel bel mezzo della sua fioritura industriale. Dal disastro nacque l’idea di ripensare completamente l’impianto urbano in funzione proprio della produzione orologiera. Per capire la nuova forma della città bisogna tener presente quale fosse la struttura di questa industria: l’era delle grandi marche era ancora di là da venire,  esisteva invece un fitto tessuto di laboratori che si occupavano dei singoli pezzi. In cima a questo sistema, denominato etablissage, c’erano i mastri orologiai che progettavano gli orologi e poi affidavano la costruzione dei singoli pezzi ai piccoli artigiani: chi produceva pendoli, chi ingranaggi, chi lancette, chi invece si occupava delle decorazioni, ecc. Si trattava di imprese individuali o familiari, che impiegavano ognuna pochi operai in piccole officine, spesso  all’interno delle loro stesse abitazioni.  A metà del XIX secolo fu messo nero su bianco l’impianto innovativo che avrebbe regolato lo sviluppo di La Chaux-de-Fonds nei decenni a venire: una griglia a scacchiera “appoggiata” su un crinale, fatta di strade ampie, facili da sgombrare dalla neve e fiancheggiate sul lato sud da particolari condomini, composti da abitazioni e officine insieme: queste ultime si distinguono scrutando le facciate dei palazzi, cercando i gruppi di finestre allineate. Gli edifici erano posizionati a una distanza ben definita l’uno dall’altro, tale da permettere una costante illuminazione naturale dei laboratori orologiai.

(da “Réaffectation des Grands Moulins de La Chaux-de-Fonds”, Y. Mattenberger, Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne, 2015)

Una visita all’ “Espace de l’urbanisme horloger” permette di comprendere meglio l’evoluzione urbana di La Chaux-de-Fonds.

Questo mondo di piccoli artigiani dentro i garage di casa è ormai scomparso, soverchiato dalla concorrenza internazionale che dagli anni ’70 ha profondamente cambiato questo mondo: la concentrazione in pochi gruppi della maggioranza delle grandi marche svizzere e la progressiva uniformazione delle componenti meccaniche ha sì ridato slancio all’industria locale, ma ha significato la perdita di numerosi posti di lavoro per le comunità del Giura. La Chaux-de-Fonds, dove la popolazione si è ridotta di varie migliaia di unità negli ultimi trent’anni, convive ormai da oltre 200 anni con le fluttuazioni dell’industria orologiera, alternando periodi di floridezza economica ad altri di recessione: la monocultura industriale acuisce particolarmente questi ultimi, obbligando la città a cercare nuovi sbocchi di sviluppo. La tradizione aiuta: numerose sono le PMI che si occupano di micromeccanica o altri settori derivati dall’orologeria, magari fondate proprio all’interno di ex fabbriche di orologi.

Ciò che non è scomparso è il paesaggio urbano e industriale unico nel suo genere. Questo ha fatto sì che nel 2009 l’UNESCO includesse La Chaux-de-Fonds (insieme alla vicina Le Locle) tra i Patrimoni dell’Umanità, riconoscendo il valore universale di una visione architettonica, urbanistica, economica e sociale, giunta praticamente intatta fino ai giorni nostri.

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La “metropoli orologiera”, come ama definirsi oggi, è una vetrina perfetta dei processi che la rivoluzione industriale è in grado di innestare, anche in piccole comunità rurali e isolate come questa. Tra XIX e XX secolo La Chaux-de-Fonds divenne meta di migrazioni, dalla Svizzera tedesca e dalla Germania, rendendo necessaria la costruzione di una chiesa protestante in una comunità profondamente cattolica (non senza tensioni), ma anche dall’Italia, in particolare dal nord, dove già esisteva un importante ceto di artigiani specializzati. C’erano poi i commercianti ebrei dell’Alsazia, anch’essi interessati allo sviluppo dell’industria orologiera. È evidente come si venne a creare, anche in un ambiente allora molto chiuso, una società multiculturale, dove le idee liberali dell’illuminismo francese non fecero fatica a diffondersi tra la rampante piccola e media imprenditoria, mentre il socialismo e l’anarchia pervadevano il proletariato operaio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.

Questo laboratorio sociale e politico, che attirò come abbiamo visto anche Karl Marx, fu anche terreno fertile per l’urbanistica e l’architettura. Sul volgere del Novecento, quando ormai il sistema dell’etablissage stava passando il testimone alle grandi manifatture orologiere, un nuovo stile si impose nella scacchiera di La Chaux-de-Fonds. Questo passaggio si può ancora percepire percorrendo le strade da est, dove prevalgono le case-officine più sobrie e austere, a ovest, dove invece predominano alti edifici industriali in stile art-nouveau. Tra di essi emerge la bellissima centrale elettrica, testimone dell’arrivo del vapore che favorì lo sviluppo industriale anche della produzione orologiera. Questo gioiello architettonico è un monumento nazionale utilizzato oggi dalla municipalità come centro culturale, e al suo interno conserva ancora uno dei suoi grandi motori diesel. È come se la centrale sia la grande madre di questa parte di città, e tutte le fabbriche intorno rappresentino i suoi diretti figli.

 

Tra queste ultime emerge la cosiddetta “Maison de l’Aigle”, un magnifico palazzo nei pressi della stazione dove si trovava lo stabilimento Eberhard. All’altra estremità, arrampicata sul crinale della montagna si staglia la fabbrica-villa di Léon Breitling, la cui  architettura si sposa perfettamente con la raffinatezza degli orologi della celebre marca.

Fu probabilmente anche questo ambiente di sperimentazione urbana che ispirò i primi passi di Charles-Edouard Jeanneret-Gris, che col nome di Le Corbusier sarebbe diventato uno dei più importanti architetti del Novecento, nato proprio a La Chaux-de-Fonds nel 1887. La sua formazione fu seguita dall’artista neocastellano Charles L’Eplattenier, professore alla locale scuola d’arte dal 1897, che sviluppò nella “metropoli orologiera” lo “Style sapin”, una particolare forma di art-nouveau che ebbe a inizio secolo un grande successo. Architettura e industria si fusero perfettamente nelle numerose ville di fabbricanti di orologi che si incontrano in città, come quella progettata dal giovane Le Corbusier per l’imprenditore Anatole Schwob nel 1917, nota anche come “Villa Turca”. L’imponente Museo delle Belle Arti, aperto nel 1926, racconta questa particolare relazione tra La Chaux-de-Fonds e l’art-nouveau.

A completare la Rue des Musées c’è il Museo Internazionale d’Orologeria. Per rispettare la tradizione cittadina, questa istituzione è accolta in un edificio innovativo, di tre piani incassati in una collina che funge da parco pubblico: un vero e proprio monumento all’estetica del cemento anni ’70. Il museo è un’enciclopedia sul continuo sforzo dell’uomo, sin dalle epoche più primitive, di misurare il tempo e di farlo in maniera sempre più precisa: dalla meridiana all’orologio atomico del CERN, passando per pendoli, orologi da torre, astrolabi, cronografi sottomarini e il quarzo. È quindi un museo tecnologico ma che non tralascia quegli aspetti che fanno dell’orologio molto più di un oggetto funzionale, dalla moda al design.

Questo è un mestiere complesso ma, come dicono coloro che lo fanno quotidianamente, profondamente stimolante: il successo è dovuto dalla perfetta combinazione tra meccanica e arte, tra calcoli matematici e sensibilità estetica. La Chaux-de-Fonds, la città del tempo, non poteva essere culla migliore per questa industria: precisa nella sua struttura urbanistica e raffinata nelle sue architetture.

Luoghi da Visitare:

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